Una delle scelte strategiche relative allo spazio del gioco più celebri della storia dello sport è sicuramente quella adottata da Mohamed Alì nel suo incontro con Foreman del 1974, nel famoso match di Kinchasa, in Zaire. A quel tempo, Foreman oltre ad essere il campione in carica era imbattuto ed aveva vinto la maggior parte dei suoi incontri per K.O. 

Alì non era più giovanissimo, era stato fermo per la famosa squalifica dal 1967 al 1971 ed aveva già perso alcuni incontri dopo il suo rientro agonistico. Non sorprende che Foreman fosse nettamente il favorito, ci si attendeva che la velocità di Alì nulla avrebbe potuto contro la potenza di Foreman e in realtà erano in molti ad essere preoccupati per la sicurezza fisica di Alì.

La critica prevedeva che l’unica possibilità di Alì fosse quella di schivare i colpi di Foreman, saltellando e girandogli intorno e lo stesso Alì prima del match non aveva fatto che confermare tale ipotesi continuando a ripetere “I will jump”, ma quasi nessuno arrivava a immaginare che Alì potesse saltellare per 15 riprese.

In realtà le cose non andarono così: Alì iniziò il primo round attaccando, e per di più usando parecchio il diretto destro senza prima prepararlo con il sinistro; a quei livelli ciò equivale ad una specie di follia, ad un viaggio sulla luna, come disse lo scrittore Norman Mailer; il destro ci impiega più tempo a raggiungere il bersaglio, perché deve percorrere una distanza maggiore. Quei pochi attimi, sono spesso sufficienti all’avversario, che può prepararsi per schivare il colpo e poi passare al contrattacco. Foreman all’iniziò fu sorpreso ma reagì in fretta e versò la fine del round cominciò a sua volta a colpire il suo avversario. Alì capì che né questa tattica di confronto diretto né il saltellare gli avrebbero concesso di avere delle reali chance di vittoria e decise di utilizzare la strategia per cui si era preparato a lungo ma che in cuor suo probabilmente sperava di non dover utilizzare.

Subito dopo l’inizio del secondo round Alì abbandonò il centro del ring e comincio a stare sulle corde accettando deliberatamente di diventare un facile bersaglio per i pugni di Foreman. Una strategia che qualche anno dopo lo stesso Alì battezzò “Rope-the-dope”.

Le corde e peggio ancora l’angolo sono il posto peggiore dove stare durante un incontro; non si può indietreggiare, si fa fatica a spostarsi di lato e per avanzare bisogna aprirsi la strada lottando. Con le parole di Norman Mailer “…finchè Foreman avesse mantenuto la sua forza, le corde si sarebbero rivelate sicure come una corsa in monopattino su un parapetto. Ma d’altronde che cos’è il genio se non equilibrio sull’orlo dell’impossibile?”

I pugni di Foreman colpirono Alì innumerevoli volte, ma soprattutto al corpo, perché Alì con i gomiti e le braccia difendeva la testa e il volto. Inoltre sfruttando le corde su cui era appoggiato Alì riusciva ad ammortizzare i colpi di Foreman.

Questo è un altro notevole esempio di utilizzo strategico dello spazio delle regole. Se per ipotesi le regole del pugilato prevedessero un altra tipologia di delimitazione spaziale del ring, Alì non avrebbe potuto trasmettere alle corde l’energia dei colpi di Foreman. Questo non è un particolare secondario, tant’è vero che subito dopo il match Foreman accusò il team di Alì di aver deliberatamente e segretamente allentato le corde del ring, anche se lo stesso Foreman si pentì di queste sue illazioni e in seguito si scusò pubblicamente per aver formulato queste ipotesi.

La strategia preparata da Alì prevedeva anche alcuni altri elementi, quali l’avvinghiarsi al suo avversario ogni volta possibile, le provocazioni verbali e alcuni occasionali colpi diretti al volto di Foreman.

Foreman si era allenato per affrontare un Alì saltellante e non fu psicologicamente pronto a fronteggiare questa nuova situazione. Il suo obiettivo strategico era quello di costringere Alì alle corde, e non aveva un piano di riserva di fronte al fatto che Alì deliberatamente scegliesse di stare proprio sulle corde.

Allora si accanì per quattro round nel colpire Alì che non dava segni di cedimento. Non sapeva cos’altro fare. Continuando a sferrare pugni sempre più potenti finì per esaurire le sue energie, fisiche e mentali.

Il risultato fu che ben presto (ed in particolare dopo la quinta ripresa – da molti definita come una delle più belle della storia del pugilato) divenne chiaro a tutti che l’inerzia del match era cambiata. E infatti nell’ottavo round con un combinazione gancio sinistro diretto destro Alì mise termine al match. 

Alì usò la strategia “rope-a-dope” anche in alcuni dei suoi match successivi, ma va sottolineato che essa non ha arricchito, da un punto di vista pratico, le strategie del pugilato. Si conoscono solo due altri pugili che abbiano applicato questa strategia con successo, uno è James Toney, l’altro è niente poco di meno che il Rocky cinematografico, che la ha utilizzata nel match di rivincita con Clubber Lang. Alì, Toney e Rocky potevano adottare questa strategia grazie alle loro eccezionali capacità difensive ma soprattutto grazie alla loro capacità di assorbire i colpi. Niente di tutto questo è alla portata né del pugile medio né della maggioranza dei grandi campioni.

Abbandonare il centro del ring e appoggiarsi alle corde è ancora considerato un peccato grave ma l’espressione “Rope-a-dope” ha avuto più fortuna ed è uscita dai confini della boxe è viene usata per descrivere quelle situazioni in cui una delle parti deliberatamente si mette in quella che appare una posizione perdente, per poi trasformarla in un’eventuale vittoria.

Lo scrittore americano Norman Mailer che ha scritto un libro su quest’incontro, “Il combattimento”, ad un certo punto propone un parallelo tra l’abbandono del centro da parte di Alì e l’atteggiamento nei confronti del centro nel moderno gioco degli scacchi:

“Negli scacchi, nessun concetto era stato una volta più fortemente stabilito di quello del controllo del centro, e più o meno per le stesse ragioni che avevano imposto lo stesso concetto nell’ambito della boxe: il controllo del centro offriva mobilità per gli attacchi sulla destra e sulla sinistra. In seguito, era sopravvenuta una rivoluzione negli scacchi, e nuovi maestri avevano argomentato che se un giocatore occupava il centro troppo presto si creavano delle situazioni di forza ma anche di debolezza. Era meglio invadere il centro dopo che l’avversario si era impegnato. Naturalmente con questa strategia bisognava essere pieni di risorse in uno spazio ristretto. L’intelligenza tattica era essenziale a ogni mossa. Non era esattamente così che si era comportato Alì?”

L’importanza del centro della scacchiera non è in discussione, e nella concezione classica della strategia scacchistica il suo controllo andava perseguito tramite la sua occupazione da parte dei pedoni e/o dei pezzi. Poi negli anni venti del Novecento una serie di giocatori cominciarono a diffondere l’idea che l’occupazione del centro portava con sé anche delle debolezze che era possibile sfruttare controllando le case centrali della scacchiera, da lontano, con i pezzi piuttosto che con i pedoni. Fino ad un certo momento i Grandi Maestri di estrazione classica non presero neanche in considerazione che potesse esistere un’alternativa alle loro verità, ma non appena la pratica di gioco confermò la validità delle concezioni ipermoderne queste entrarono a far parte integrante della cultura scacchistica, a differenza di quanto successo con il “rope the dope” nelle strategie pugilistiche. 

Nel suo classico del 1925 “Il Mio Sistema” Nimzowitsch propone la seguente metafora: “Se, nel corso di una battaglia, ci riesce di occupare con un manipolo di soldati una parte di territorio conteso, senza aver fatto nulla per prevenire un bombardamento nemico su tale territorio, potremmo dire di averlo davvero conquistato? Ovviamente no. E perché allora dovremmo dirlo negli scacchi? La pressione esercitata sul centro nemico da pezzi a lungo raggio, come la Torre e l’Alfiere può avere il ruolo che nella battaglia reale ha il bombardamento”. Negli scacchi moderni questi due modi di affrontare il problema del centro rappresentato le facce della stessa medaglia: non esiste una strategia intrinsecamente migliore, ma le strategie adottate dai giocatori tenderanno a ruotare attorno a questo tema. Il concetto chiave è che di solito l’occupazione del centro con i pedoni implica un guadagno di spazio ed in questo spazio extra il giocatore potrà più agevolmente manovrare con i propri pezzi, mentre al contrario l’avversario sarà costretto in uno spazio ristretto. Quindi si può dire che l’occupazione del centro porta al possesso di una spazio extra e se è vero che questo è un vantaggio, comporta anche delle responsabilità in quanto questo spazio (ed il centro che lo genera) vanno costantemente controllati dai tentativi di attacco o infiltrazione dell’avversario. Niente di nuovo sotto il sole, il problema dell’allargamento dei confini ha accompagnato tutta la storia dei popoli: più un confine si espande, più lo spazio che esso delimita diventa difficile da controllare.

 

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