In pittura, le leggi della prospettiva sono in gran parte delle convenzioni. Esse generano delle abitudini che, alla fine, le fanno apparire naturali. Le leggi dell’armonia, per la musica, quelle della prosodia e della metrica per l’arte dei versi, ogni altra regola, unità o canone per la scultura, la coreografia o il teatro, costituiscono parimenti altrettante legislazioni, più o meno esplicite e dettagliate, che guidano e al tempo stesso limitano il creatore.

Sono le regole del suo gioco. D’altra parte esse danno luogo ad uno stile comune e riconoscibile in cui si riconciliano e si compensano la disparità del gusto, la prova della difficoltà tecnica e i capricci del genio. Queste regole hanno qualche cosa di arbitrario e il primo venuto, se le trova assurde o soffocanti, è libero di rifiutarle e dipingere senza prospettiva, scrivere senza rima né cadenza, comporre suoni al di fuori della regolamentare armonia. Così facendo, egli non sta più al gioco e contribuisce a distruggerlo perché, proprio come per il gioco, queste regole esistono solo per il rispetto che si porta loro. Negarle, tuttavia, è abbozzare i criteri futuri di una nuova perfezione, di un altro gioco il cui codice, ancora vago, diventerà a sua volta tirannico, imbriglierà ogni audacia e metterà nuovamente al bando la fantasia sacrilega. Ogni rottura che infrange un divieto codificato prefigura un altro sistema, non meno rigido né meno gratuito.

Questo brano tratto da “I giochi e gli uomini” di Roger Caillois ci indica come di fronte ad un sistema di regole uno degli atteggiamenti possibili sia quello di infrangerle.

Prendiamo l’esempio della metrica: la metrica è un insieme di norme, di pratiche e di fenomeni che contribuiscono alla struttura e alla forma di un’opera di poesia. Essa determina la struttura letteraria di un componimento poetico, determinandone il ritmo e l’andamento generale. È possibile individuare dei canoni, delle categorie ricorrenti in cui è possibile classificare la produzione poetica di determinate culture. È importante evidenziare che la metrica è un sistema di regole descrittivo, non prescrittivo. Essa può dire al poeta, “ecco, queste sono le regole per comporre endecasillabi” ma il poeta non è obbligato a rispettare quelle regole, e può adottare qualsiasi soluzione che gli sembra adatta a dare ritmo e forma al suo componimento. Se il poeta sente di appartenere ad una certa tradizione allora tenderà a rispettare le regole di quel canone, altrimenti adotterà un altro canone o scriverà in versi liberi. Va anche ricordato che la metrica esiste per aiutare il poeta, non per ostacolarlo, in quanto gli fornisce una struttura che facilita la composizione di poesie dal riuscito andamento ritmico. Ma può anche capitare che su otto versi uno non sia un endecasillabo; è probabile allora quel particolare verso sia stonato, ma se è proprio quest’interruzione del ritmo il messaggio del poeta egli è libero di adottarlo. Non per questo si potrà parlare di “distruzione del gioco degli endecasillabi”; certo, se l’innovazione si diffondesse e fosse adottata da tutti, avremmo la nascita di un nuovo canone, ma questo in realtà succede molto raramente.

Un esempio significativo di un’intera comunità di giocatori che decide di rifiutare e poi modificare alcune delle regole del suo gioco, è dato dai cambiamenti che si sono verificati in Europa nel quindicesimo e sedicesimo secolo nelle regole del gioco degli scacchi. Come fa notare l’accademico russo Bromley: “Nel gioco, come nelle altre attività culturali, si possono individuare distintamente le diverse fasi di sviluppo di una società, se ne può ripercorrere la storia. Quattrocento o cinquecento anni fa gli scacchi avevano un ritmo più lento, la Donna poteva muoversi in qualsiasi direzione ma di una sola casa. L’Alfiere si spostava in diagonale per non più di due case. L’epoca delle grandi scoperte geografiche, ampliando i confini del mondo, finì per dare più libertà d’azione anche alla Donna e all’Alfiere.”

A proposito delle trasformazioni subite dalla Donna, dalla “Regina degli Scacchi” va notato che nel quindicesimo e sedicesimo secolo per la prima volta nella storia in Europa apparve un gruppo di carismatiche e potenti sovrane, quali Caterina d’Aragona, Isabella di Castiglia, Mary Tudor, Elizabeth I, Caterina dei Medici, Giovanna d’Albret di Navarra, Mary di Scozia. In particolare la trasformazione della Donna nel pezzo più potente della scacchiera pare essere stata ispirata dalla figura di Isabella di Castiglia (immagini da Wikipedia, ndr), che nella seconda parte del quindicesimo secolo regnò su alcune regioni della Spagna (Castiglia e Leon) con suo marito il Re Ferdinando. Isabella sia ammirata che temuta, diede un enorme contributo all’unificazione della Spagna, alla riorganizzazione delle finanze e a tanti altri aspetti dell’organizzazione del Regno. Marylin Yalom, che su quest’argomento ha scritto un libro, “Birth of the chess Queen” fa notare che non può essere un caso che proprio mentre una Regina militante più potente del Re regnava sulla Castiglia, nella stessa regione, numerosi e influenti autori di opere scacchistiche iniziarono a proporre nuove regole di movimento per la Regina degli scacchi.

Oltre all’introduzione di una Donna così potente e all’ampliamento del raggio d’azione dell’Alfiere in quegli anni gli scacchi subirono altre due sostanziali modifiche: ai pedoni fu data la possibilità di muoversi di uno o due passi alla loro prima mossa, e nacque il caratteristico movimento dell’arrocco. Tutte queste modifiche hanno contribuito a rendere gli scacchi un gioco più dinamico, in cui l’attacco e l’iniziativa vedevano aumentata la loro importanza. E c’è chi ha suggerito che la tendenza a conferire ai pezzi un movimento più dinamico rispecchia l’evoluzione delle classi sociali nel medioevo europeo. Quello che è certo è che in quegli anni l’Europa era una società in trasformazione, più curiosa e frenetica e che la riforma avvenuta nel gioco degli scacchi non è che un eco di quest’altra più grande trasformazione.

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