Avevamo visto giusto: ha vinto un giocatore dal cognome che comincia per Car.

Ha vinto Carlsen, e Caruana ha perso.

Ma su tutto il resto non ne abbiamo azzeccata una. Cosicché non possiamo fare copia e incolla del nostro articolo precedente e dobbiamo scriverne uno nuovo da cima a fondo.

All’indomani del match di Londra non sono molti i commentatori che, come pensavamo, distillano il loro pregiatissimo inchiostro su quanto è stato bravo il campione del mondo a padroneggiare le complicazioni tattiche o a dare prova di saldezza di nervi. Gli opinionisti, gli eruditi e i competenti, insieme ai soliti milioni di commissari tecnici senza squadra, discutono invece su quanto brutta sia la formula, di quanto ingiusti siano gli spareggi a tempi corti, di quanto scarsi siano gli atleti di oggigiorno, di quanto era bello il Gambetto di Re, di come si stava meglio quando le sfide duravano tre mesi anziché diciotto giorni e così via. Roba che a noi, alla vigilia, non era passata neanche per l’anticamera del cervello.

La realtà è che Car & Car hanno spiazzato tutti con un match che si è sviluppato così: patta patta patta patta patta patta patta patta patta patta patta patta.

Non si era mai visto niente del genere.

Sul 6 a 6 è stata necessario il cosiddetto tie break su quattro partite alla distanza di 25 minuti più qualche spicciolo, dove il norvegese volante ha dimostrato di essere superiore di una spanna al suo avversario tirandosi addosso, per mano di qualche burlone, l’epiteto di Campione del mondo semilampo.

Le 12-patte-12 consecutive hanno fatto litigare parecchio. Non tanto per i pareggi, quanto per il modo in cui sono stati siglati. I dilettanti (nel senso di coloro che si dilettano a giocare a scacchi e a vedere le partite dei grandi maestri) sbadigliavano, mentre i professionisti (nel senso di coloro che con gli scacchi tirano a fare carriera) simulavano entusiasmo e dicevano che i dilettanti non capivano un tubo; sullo sfondo, un po’ in disparte, i complottisti parlavano di accordi sottobanco o di malefiche influenze di inesprimibili entità.

Al netto di parolacce e astruserie assortite, l’analisi più convincente – tra le tante – ci sembra quella che ha voluto Car&Car equivalersi sul piano strettamente tecnico finché la sfida si è snodata a cadenza lunga. Carlsen ha tentato di vincere la prima partita da par suo tirandola fino allo sfinimento, poi si è accontentato di addormentare il gioco e di non correre rischi: forse aspettando che lo sfidante si sbilanciasse o, verosimilmente, confidando nella sua proverbiale abilità nel semilampo. La dodicesima è sembrata emblematica: in posizione superiore, e in vantaggio di tempo, il norvegese se ne è uscito con una proposta di patta che ha stupito persino Caruana (per sua stessa ammissione). Comunque ha vinto lui. Il supplemento a 25 minuti non ha avuto storia. Cosicché non è illegittimo affermare che il Campione ha gestito la faccenda con una notevole oculatezza.

Caruana, dal canto suo, ha ricevuto qualche critica perché non ha osato di più. Noi, nel nostro piccolo, pensiamo che “osare di più” contro un mastino del genere non sia come cambiare una lampadina. Tuttavia, a parte questo (che non è un commento tecnico ma un moto istintivo), se andiamo a esaminare i numerosi precedenti fra i due Car scopriamo che non sono poche le partite in cui Magnus preme, spinge, insiste mentre Fabiano – che in fatto di tenacia e di pazienza non è secondo a nessuno – tiene duro fino al pari o, in qualche occasione, al colpaccio in contropiede.

Le dodici partite hanno dunque rispecchiato lo stile degli antagonisti, con Carlsen che è sembrato (ma forse è soltanto sembrato) un tantinello più remissivo. Con i bianchi, per esempio, il norvegese ha preso con le pinze una mossa insolita di Caruana (10. … Td8!?) nella variante con Af4 del Gambetto di Donna rifiutato, e contro la Russa, recentemente diventata un cavallo di battaglia dello sfidante, non ha fatto fuoco e fiamme.
Quanto a Caruana, se ha sciupato qualcosa di veramente grosso non abbiamo capito dove. E’ vero, nell’ottava (posizione sulla sinistra) poteva giocare 24. Dh5 invece di 24. h3 ma, quanto al resto, è un mistero. A meno che non gli si voglia rimproverare di avere mancato quell’angosciante matto in trenta annunciato dal supercomputer Sesse durante il finale della sesta partita (analisi). Ma qui, invece di entrare nel merito, ci richiamiamo al commento di Kasparov (“se Caruana avesse trovato una manovra del genere alla scacchiera avrebbero dovuto passarlo immediatamente al metal detector”) e alla faccia che ha messo su Carlsen (vedi sotto) quando gliel’hanno mostrato.

Alla fine, tutto sommato, Fabi fab the fabolous, come lo chiamano gli anglofoni, ha pareggiato dodici partite consecutive con il Campione del mondo. Non è da tutti.

Quanto alla risonanza mediatica, i grandi giornali si sono accorti che a Londra stavano giocando a scacchi e che fra i contendenti c’era un tizio con il nome italiano. Lasciamo volentieri ad altri la tiritera dell’italiano sì-italiano no-è italiano ma-è italiano però. Qui prendiamo atto che si è acceso un barlume di interesse. Crediamo comunque che non basterà per vedere masse di clienti dei bar trastullarsi con gli scacchi nei dehor, o telespettatori cambiare canale all’improvviso perché “c’è un’edizione straordinaria sul match”. E crediamo che sarà inutile, nelle prossime settimane, aspettarsi battaglioni di aspiranti giocatori bussare alle porte dei circoli. Sbaglieremo, ma ci sembra che i tempi della Spassky-Fischer non siano ancora tornati.

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