Se si chiede a un profano delle 64 caselle di descrivere la tipica ambientazione di una partita a scacchi, due saranno le principali risposte. Ci sarà chi, memore dell’infinito match Kasparov-Karpov, parlerà di un grigio salone dove due menti geniali si sfidano in una tremenda e silenziosissima battaglia; e chi, viziato dall’immaginario hollywoodiano, immaginerà un maestro passeggiare tra i tavoli di Central Park a New York giocando una simultanea contro gli avventori della domenica pomeriggio.

Ma gli scacchisti, si sa, amano sorprendere e rompere gli schemi. Succede così che nel più remoto angolo della galassia FIDE abbia luogo una grottesca parodia del divertissement statunitense. Quell’angolo è il Joubert Park, nel cuore del centro di Johannesburg, in Sudafrica. Qui, ogni weekend – macchè, ogni giorno – decine di giocatori, che tutto possono sembrare fuorchè scacchisti, s’incontrano per provare sugli sgangherati tavolini verdi del parco di essere più forti e più svelti di qualunque altro africano.

“Sì perchè tutti i più forti giocatori d’Africa sono passati di qua”, sostiene con fermezza David “deza” Condowe, considerato da tutti il numero cinque nel parco. “Amon Simutowe, che ora batte i più forti GM negli USA, è cresciuto qua, così come tutti i MI di Zambia, Botswana e Zimbabwe”.

Al Joubert non si va per divertirsi, per imparare o per trascorrere il tempo. Ogni partita è una vera battaglia e si deve giocare sporco per guadagnarsi i 5 rand di posta per l’incontro. È non si pensi che sia facile, anche se l’avversario è un grezzo africano con i dreadlocks impegnato a mangiare un uovo sodo. Sacrifici scorretti e originali mosse irregolari possono cambiare il corso di una partita lampo in ogni momento, mentre un fiume di parole dell’avversario distrae l’occhio dal tempo che scorre.

Tra gli abituèe del parco ci sono il veterano “mamba”, l’estroso “venda boy” e il rumorosissimo Sello che vince solo, e spessissimo, per il tempo. Ci sono anche Stephen “hyena” Skosana, un buon 2000 a tempo lungo, e “senior”, un grosso notaio cresciuto nelle township che dopo aver fatto carriera vuole far sapere di poter perdere quanti soldi vuole. Tutti lo aspettano con ansia ogni sabato. Personalmente sono noto come Alexander “chicken” the great e raccolgo una certa folla attorno alla scacchiera ogni volta che gioco a 1 minuto.

Infatti, la partita non è limitata alla scacchiera e nemmeno ai due giocatori. Il vociare di attivissimi spettatori sovrasta il suono delle manate sull’orologio, mentre i “sidebets” possono anche fruttare un centinaio di rand alla volta. È nell’azzardo che si rivela la vera essenza degli africani del ghetto, che vengono dalle parti più povere della città e per cui giocare a scacchi è una sorta di riscatto e una ragione di vita. Di bianchi al Joubert non se ne vedono.

Quando cala la sera e il buio rende impossibile centrare pezzi e orologio, la fiamma della competizione non si spegne. Tutti gli scacchisti migrano in pochi minuti al vicino fast food Fish and Chips, dove giocheranno fino a notte alla luce di un lampione. Il pomeriggio successivo, eccoli di nuovo tutti al Joubert park.

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Alessandro Parodi si è laureato nel’estate del 2012 in comunicazione interculturale. Poi, a settembre, a nemmeno 22 anni, ha deciso che in Italia non c’erano occasioni interessanti di lavoro e così ha preso “scacchi e bagagli” ed è volato in Sud Africa per occuparsi di antropologia e di giornalismo. Nell’attesa di riuscire a sfondare in questo campo insegna italiano e scacchi. La sua grande passione agonistica la esprime invece nei tornei locali e in questo strano mondo che ruota attorno al Joubert park.

Alessandro è socio Sst da quando faceva le scuole medie, e lo è tuttora anche se vive a Johannesburg! Ah, il piacere dell’appartenenza: sensazione ormai sconosciuta ai più…      

mk 

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