Il nostro articolo su Primo Levi e le sue due poesie sugli scacchi hanno ricevuto un consenso unanime: ci hanno mandato mail di approvazione, l’articolo sul nostro sito è stato letto da qualche centinaio di persone e anche la notizia su Facebook ha raggiunto il migliaio di contatti. 

Poteva un esteta degli scacchi a tutto tondo come Carlo Bolmida stare in disparte?

Certo che no!

Ed ecco infatti che sulla scia di un ritrovato innamoramento per la cultura che trasuda da quei pezzi di legno che noi mortali ignari muoviamo, ci manda una sua posesia scritta anni orsono.

Noi al riceviamo e, come si dice sempre ma questa volta senza retorica alcuna, volentieri la pubblichiamo. La Redazione.

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Le  interminabili (ed anche in buona parte tediose) vicissitudini fra i due pluri Campioni assoluti: Kasparov e Karpov gettarono la FIDE in grave travaglio ed ambasce di immagine ed anche economiche. Karpov dovette cedere il titolo, lottando con ogni mezzo, anche politico, al giovane genio Kasparov per la seconda volta. L’ultima memorabile sfida avvenne nel 1990 al meglio di 24 partite. (le prime 12 giocate a New York e le ultime 12 a Lione, nel 1990.)

Nel 1999, tentando di porre fine all’acerrimo, immobilizzante dualismo fra i due Campioni il Presidente Kirzan Ilyumzhinov per l’aggiudicazione del titolo creò il famigerato torneo di Las Vegas. Che si rivelò un ignorato, trascurabile fallimento.

A tal proposito composi questo rabbioso pseudo epinicio dopo l’episodio di Las Vegas 1999.

Mi pare che sia lecito riproporlo oggi constatando che gli Scacchi, isola felice e nuovamente vitale malgrado la poderosa influenza di Internet, come bene vaticinò Massimo Bontempelli, vivranno eterni con la loro imbattibile energia e i loro autentici legami fra uomini reali, veri, avversari vis.a.vis. Cementando per sempre autentiche amicizie e splendidi ricordi.

Carlo Bolmida.  10/6/2015

 

Scacchi, sfida leale

(a Karpov e Kasparov, dopo il Campionato del mondo:  New York-Lione 1990)

I

Curiazio ha estratto il nero, Orazio il bianco

E i pedoni discendono su e giù per la scacchiera

contro un muro di alfieri e di torri,

verso il roccioso quadrato della X

dove il vessillo sventola enigmatico

su bertesche merlate- hanno nascosto

il Graal più decisivo in questo labirinto

dell’ipotesi infinitesimale

tra il d4 e l’e5, dove muovono

i loro fanti diligenti, i loro capricciosi cavalli

i due Campioni di un match impietoso ma leale,

crociati e saladini

di una gerusalemme da espugnare in silenzio

con le astuzie del calcolo persiano,

caro ai maestri dell’antica Ur

e ai cervelli del Massachusetts Institute,

dall’equazione magica-QI=Mc2 del nuovo Einstein.

 

II

Un tempo non lontano

per cingersi di gloria mondiale

i due rivali cercavano la mossa

che disarma il nemico,

apre la porta del suo sistema,

e dissigilla al mondo in attesa

il segreto escatologico

ancora ignoto, in sospeso,

scritto in busta chiusa, che dava la vittoria.

Il tempo scorreva, impietoso.

Ora il pianeta pullula di presunti campioni

che si sfidano a Las Vegas in un’orgia di casualità

voluta dal prodigioso Kirsan Ilyumzhinov,

tra sfolgoranti luci intermittenti e scaloni

di finto marmo.

Introna i pensatori, assordante, ripetitiva musica

heavy metal.

Come Moloch troneggiano monitor

di cristalli liquidi

di cagionevoli e tragici computer.

Lontano, l’irragiunto genio di Chicago,

allibito, insubordinabile, è chiuso in sprezzante

slenzio.

 

III

In un mondo involgarito dove non vale più

legge di torneo,

presunti re di avorio

ridono con gelida smorfia,

padroni soltanto di meschina aridità.

Voi non potevate sottrarvi di casella in casella,

sull’astrolabio mitico, colpo per colpo,

un pezzo contro ogni pezzo, fino alla riuscita,

in excelsis o ad inferos,

catastrofe o apoteosi, per un lampo,

un numero che coglie il segno,

vince la partita.

A voi guardava l’umanità,

a voi, arcieri eletti

di nobilissime regole cavalleresche,

metafisico pensiero, creatività che sovrasta

meschini interessi di bottegai.

A voi non giungeva rumore;

l’eco

d’un’umanità violenta, soggiogata dal terrore,

non passava la porta,

foderata di panno.

La vostra concentrazione

era palladio e arca santa

e i sacerdoti di Persepoli la proteggevano

contro ogni tentativo di mescolare

al mondo vero, dei veri numeri,

il finto mondo esterno che inventa sogni in perdita,

trafficanti di morte,

Thomas Moore miranti a incerti futuribili,

bioingegneria degradante,

follia, reietti dell’utopia

permessa negli schemi del Samuelson.

Corrano pure tutti la corsa senza senso,

corifei di Babele,

terroristi di ogni nazione,

prevista da incerti atlanti della realpolitik,

velleitari sulla ruota che gira e passa,

immemore.

Essi non chiedono al giurì internazionale

Il diritto al rettengolo ben disegnato

per andare all’attacco ad ora precisata,

al five o’ clock ( o quasi ),

come gli antagonisti veri.

 

IV

Oggi, una pletora di campioni,

presto obliati dalla memoria,

loro stessi pedoni di carne,

attenti soltanto ad un falso rating

dovuto a calcoli astrusi di cervellottica matematica,

muovono i loro pezzi, di plastica,

che avanzano e indietreggiano,

per linee che paiono casuali,

oblique, a segmenti, balzi,

al ritmo di tempi assurdi,

asserviti al denaro,

e schiavi della velocità high tech.

Il mondo più non vi bada, non avrà memoria dei loro volti,

sbiaditi in sul nascere.

Il mondo non vi guarderà.

Guardava i Campioni irragiungibili:

l’attenzione si bloccava qui in queste sale,

si udiva il tic tac dell’orologio elettrico,

sotto l’occhio inesorabile, impietoso della tv,

dove i due contendenti

pesavano nel silenzio tre miliardi

di possibilità per ogni gesto della mano,

lo sguardo di cristallo nello sguardo dell’altro,

il volto rigido,

del mostro egizio in pietra,

sull’oscura strada di Tebe,

che soltanto il genio

trasgressivo di Edipo poteva sconfiggere,

magia contro magia, con la scintilla della parola.

Ora tutto è impastato con lo stesso sapore.

Un chip di silicio immerge le menti nel silicone.

E con il suo squallido aiuto,

senza gloria duratura,

cingono loro il capo d’una corona assurda

di cartapesta dorata,

decisa al meglio di sei partite irregolari,

e con il tie-break a cadenza di rapid-chess

il bianco muove e dà scacco

in tre colpi suggeriti.

 

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